Risarcimento Incidente Mortale: morte della zia e risarcimento ai nipoti anche se non conviventi
Parliamo di risarcimento incidente mortale. Nel caso di decesso della zia in un incidente stradale mortale, i nipoti hanno diritto al risarcimento anche se non sono conviventi. Quando si va a quantificare e trattare con l’assicurazione il risarcimento del danno subito dai parenti (diversi da figli, genitori, fratelli e sorelle) per la morte di un familiare in un incidente stradale, il diritto al risarcimento richiede una prova più rigorosa.
Questo perché è richiesta la prova di un legame affettivo intenso e reale che, nel caso di familiari diversi dai figli, i genitori i fratelli e le sorelle, non è scontato. Per molto tempo la giurisprudenza ha ritenuto che la convivenza fosse un elemento essenziale, con la conseguenza che si negava il risarcimento ai parenti al di fuori del nucleo familiare ristretto non conviventi.
Tale impostazione, però, ora può dirsi superata da quanto stabilito da una recente sentenza della Corte di Cassazione in materia di convivenza, come di seguito si andrà ad analizzare.
Il diritto dei parenti al risarcimento incidente mortale di un familiare
Il danno subito dai parenti derivante dalla morte di una familiare costituisce danno da lesione del rapporto parentale e, in quanto illecito, merita un risarcimento. Sin dal momento in cui si è cominciato a definire il concetto di danno da lesione del rapporto parentale, si è posta una serie di questioni sulle modalità di liquidazione e quantificazione di tale danno. La giurisprudenza si è trovata a dover dipanare la spinosa questione del diritto al risarcimento dei c.d. “danneggiati secondari”.
Se da una parte i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle – facenti parte del “nucleo familiare ristretto” – sono soggetti legittimati a richiedere il danno da morte del familiare deceduto in un incidente stradale, diversa è la questione relativa agli altri membri della famiglia.
Qualora siano questi ultimi a richiedere il risarcimento del danno da morte del familiare, l’interpretazione giurisprudenziale della normativa applicabile in materia richiede la prova della sussistenza di determinati requisiti, volti a legittimare questa richiesta risarcitoria.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione sul concetto di convivenza del familiare
Occorre, innanzitutto, sottolineare come la giurisprudenza abbia da sempre cercato di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari. Per questo motivo, il diritto al risarcimento del danno morale da morte del familiare, è stato quasi sempre limitato ai membri del nucleo familiare ristretto. La prima sentenza rilevante sul requisito della convivenza, risale agli anni ’90.
La Corte di Cassazione, riprendendo un principio formulato quasi vent’anni prima, stabiliva che sono legittimati a richiedere il risarcimento dei danni morali per la morte di un familiare solo quei parenti che riescano a fornire prova del proprio danno morale, cioè a fornire elementi che provino “la perdita di un effettivo e valido sostegno morale”.
E tra questi elementi di prova la Corte di Cassazione inseriva testualmente il requisito della convivenza del richiedente con il parente deceduto:
<< La risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale presuppone, oltre al rapporto di parentela, anche la perdita, in concreto, di un effettivo e valido sostegno morale, non riscontrabile in mancanza di una situazione di convivenza, ove si tratti di soggetto che, per il tipo di parentela, non abbia diritto di essere assistito anche moralmente dalla vittima. (Nella specie, la S.C., in base all’indicato principio ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il diritto al risarcimento dei danni morali per i nonni non conviventi con la vittima)>>.
Da qui, la convivenza, è stata per anni utilizzata quale criterio per valutare la sussistenza o meno del diritto al risarcimento del danno morale del danneggiato secondario. Ciò con conseguente esclusione di riconoscimento del diritto a tutti quei familiari che non convivevano con il parente defunto.
Questo orientamento della giurisprudenza veniva momentaneamente superato da una successiva sentenza della Corte di Cassazione.
I questa sentenza del 2005 la Suprema Corte affermava che, per sua natura, il danno morale subito dalla perdita di un proprio caro – incidendo prevalentemente sulla sfera psicologica dell’individuo – possa provarsi solo attraverso degli elementi indiziari.
Sarebbe pertanto illogico, secondo la Corte, richiedere una prova tecnica del dolore dei parenti che, essendo puramente un sentimento interno, può essere rilevato solo indirettamente. Con la conseguenza che, il requisito della convivenza, veniva ritenuto dalla Corte di Cassazione come elemento indiziario, ma non decisivo nella valutazione del diritto al risarcimento.
<<Né l’assenza di coabitazione può essere considerata elemento decisivo di valutazione sotto il profilo che interessa la presente causa, quando si consideri che tale assenza sia imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto>>.
A riprova di quanto la questione fosse dibattuta, nel 2012 la giurisprudenza fa nuovamente un passo indietro.
Nella sentenza n. 4253 del 16 marzo 2012, rilevava come la lesione del rapporto parentale – al di fuori del nucleo familiare ristretto – sussista solo qualora sia provata la convivenza tra il defunto ed il parente che ne richiede il risarcimento del danno.
La Corte qui giustifica tale assunto affermando che è solo attraverso la convivenza che può considerarsi esteriorizzata l’intimità dei rapporti parentali.
<<In caso di morte di un congiunto, la configurabilità di una lesione giuridicamente rilevante del rapporto parentale, per i soggetti al di fuori della famiglia nucleare, presuppone necessariamente la convivenza>>.
Quest’ultimo orientamento veniva nuovamente rivisto nel 2016. Nella sentenza n. 21230 del 20 ottobre 2016, la Corte di Cassazione rilevava che il concetto di famiglia a cui fa riferimento l’articolo 29 della Costituzione Italiana non va inteso limitatamente al solo nucleo familiare ristretto, ma deve comprendere tutti quei rapporti caratterizzati da vincoli affettivi reciproci, sostegno economico e solidarietà, il cui manifestarsi non implica necessariamente una convivenza.
Pertanto, secondo questa più recente sentenza, la mancata convivenza non può ritenersi indizio della mancanza di legame affettivo meritevole di essere risarcito in caso di morte del parente.
<<Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale subìto dal nipote per l’uccisione della nonna, la convivenza con la vittima non è un requisito indispensabile, ma può costituire uno tra gli elementi probatori utili a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo, anche per la determinazione del quantum debeatur.>>.
I parenti non conviventi, che non fanno parte del nucleo familiare ristretto, hanno diritto al risarcimento incidente mortale del familiare
La recente sentenza n. 8218 del 24 marzo 2021 della Corte di Cassazione, è fondamentale perché pone un punto fermo sulla questione. A seguito di un investimento pedonale, la zia perdeva la vita e i nipoti richiedevano il risarcimento del danno morale subito per la perdita della parente. Impugnata la sentenza sfavorevole resa dal Tribunale, i nipoti proponeva appello che veniva rigettato dalla Corte d’Appello, poiché i nipoti danneggiati non convivevano con la zia.
La decisione della Corte d’Appello veniva completamente ribaltata dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza citata, affermava che la convivenza non deve considerarsi quale condizione indispensabile per poter aver diritto al risarcimento del danno morale subito da perdita di familiare, rappresentando invece tale circostanza un elemento probatorio utile a dimostrare la profondità del legame affettivo, presupposto del diritto al risarcimento (fondamento giuridico della richiesta di risarcimento ) nonché per la determinazione del quanto del risarcimento stesso (valore economico del risarcimento).
<<In tema di danno parentale, l’assenza del requisito della convivenza non può essere di per sé considerato un elemento sufficiente per escludere il risarcimento del danno per la morte di un parente in un incidente stradale. Sussiste il danno parentale, pertanto, anche in assenza di convivenza>>.
Risarcimento Incidente Mortale: concludendo
Nella quantificazione e liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale subito per la morte di un familiare, a seguito di incidente stradale, il requisito della convivenza non può essere l’unico elemento da cui desumere l’intensità del legame familiare.
La convivenza può essere valorizzata quale elemento probatorio utile, unitamente però ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti.
La recente sentenza della Cassazione – 8218 del 24 marzo 2021 – è fondamentale da ricordare in quanto superata l’esclusione a priori del risarcimento nei confronti dei parenti che non abitano con la vittima.
Accoglieva quindi il ricorso dei nipoti della zia deceduta dopo essere stata travolta da un’auto mentre attraversava la strada, nei confronti del conducente, del proprietario e dell’assicurazione.
Ne deriva che, nel delicato e complesso procedimento di dimostrazione e quantificazione del danno da perdita parentale, l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, va provata indipendentemente dalla sussistenza o meno del requisito della convivenza.
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